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    Mostra al Palazzo del Duca
    Mario Logli: un testimone del nostro tempo
    Con l'esperienza ho imparato che non c'è nulla di più immediato e, nel contempo, di più complesso di un'opera d'arte. Nulla di più rasserenante e, nel contempo, nulla di più inquietante, di un capolavoro pittorico. Così è anche per la corretta lettura dei bellissimi dipinti di Mario Logli.
    Si tratta di capolavori che si impongono per chiarezza di linguaggio, armonia di composizioni e cromatiche.
    Formalmente sembrano non proporre quesiti. Sembrano anzi invitare ad una serena contemplazione di paesaggi, personaggi, azioni. Neppure la costante atmosfera di sospensione tra memoria e fantasia, tra passato e futuro, lì per lì, tende a impensierirci come fruitori.
    Seguiamo ammirati le narrazioni, la sapienza della costruzioni, la bellezza dei colori. Solo poi ci chiediamo perché le città volino, gli invasori invadano, i detriti si trovino sul posto e, insieme, tanto fuori posto.
    Quando il tarlo delle domande si insinua in noi, solo allora cominciamo progressivamente a capire come il vero tema di Mario Logli sia quello profondo della coscienza e non quello epidermico ed intrattenitorio della fantascienza. Cominciamo a capire come il tema sia quello della presa di coscienza dei limiti dello sviluppo.
    Cominciamo a capire che quella città lì, in fuga spaziale, è la nostra. Che quella vicenda lì è la nostra. Nostra è quella terra inquinata. Che noi, infine, siamo le vittime di quella vicenda, di quella invasione o di quell'inquinamento.
    A farmi incontrare per la prima volta con Mario Logli era stato Paolo Volponi. Dopo il buon successo del mio libro, che costituiva una guida all'arte italiana degli anni Sessanta, avevo continuato a preparare altre pubblicazioni sull'argomento della pittura. Sfogliano le bozze di una di queste antologie sull'arte visiva Paolo Volponi, vedendomi incerto nella scelta di un'immagine di copertina che fosse veramente significativa, mi aveva detto: "Ma mettici uno degli invasori di Mario Logli". Era stato un suggerimento che, nel tempo, avevo accolto, perché la pittura di Logli mi era poi davvero entrata negli occhi e nel cuore.
    Anche Logli, aveva attinto da Urbino mestiere e spirito critico, fermezze da incisore, entusiasmo per la grande pittura. Come Volponi era stato chiamato a collaborare con grandi editori. Come Volponi era stato in grado di confrontare ricordi urbinati e realtà di una Milano, sempre meno città e sempre più megalopoli. Come Volponi sapeva confrontare passato e presente. Come Volponi sapeva trarre, dal confronto, i sapori amari e le minacce del futuro. Individuare le contraddizioni. Come Volponi aveva la vocazione del racconto. Così ha raccontato in cicli di dipinti i suoi timori e le sue progressive prese di coscienza.
    E' entrato nella storia dell'arte italiana un po' da cantore e un po' da profeta. Ci resterà perché le sue opere figureranno bene in qualsiasi museo d'arte moderna, a rappresentare angosce e splendori di fine millennio. Sempre che i musei non fuggano via nello spazio, con le loro città.
    Carlo Emanuele Bugatti
    direttore del Musinf, museo comunale d'arte
    moderna e della fotografia di Senigallia