02/06/2018
Senigallia Città della fotografia: la raccolta del Musinf si arricchisce di tre autoritratti fotografici di Piergiorgio Branzi
"Non potrei essere più contento di così" esordisce il prof. Bugatti, direttore del Musinf, aprendo l'incontro settimanale dedicato al corso di fotogiornalismo. Infatti posso dirvi che sono arrivati oggi da Roma tre autoritratti che Piergiorgio Branzi ha donato alla raccolta dell'Autoritratto Fotografico del Musinf.
Uno è quello che è stato eseguito per il Corriere della sera e pubblicato sulla copertina del settimanale "La lettura". Gli altri due ci mostrano Branzi, come tutti quelli di una certa età lo ricordiamo, al tempo in cui era corrispondente del telegiornale RAI.
Con l'Assessore alla Cultura Simonetta Bucari abbiamo deciso che la mostra nazionale dell'Autoritratto, in cui presenteremo il nuovo libro del prof. Giorgio Bonomi sul "Corpo solitario", si terrà a settembre alla Rocca Roveresca, e apriremo il percorso espositivo proprio con gli autoscatti di Piergiorgio Branzi, Franco Fontana, Nino Migliori e Maria Mulas".
"Branzi" ha sottolineato il prof. Bugatti, "non è solo uno dei venerati maestri della fotografia italiana, perchè Branzi ha raggiunto vasta e consolidata fama non solo come fotografo ma anche come giornalista televisivo. I suoi scatti fotografici sono stati acquisiti dai musei di tutto il mondo, dal Museum of Modern Art di San Francisco al Guggenheim di New York, dal Fine Art Museum di Houston alla Bibliothèque nationale de France di Parigi, dalla Tate Gallery di Londra al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid". E' nato a Signa nel 1928, incominciò a scattare foto con una Condor della Galileo, acquistata negli anni Cinquanta, sulla spinta dell'entusiasmo suscitato in lui dalla visita ad una mostra di Cartier Bresson.
Ha collaborato all'esperienza editoriale de Il Mondo di Mario Pannunzio, registrando con le sue immagini la nascita convulsa della società di massa. All'inizio degli anni Sessanta è stato assunto dalla RAI. Nel 1962 il direttore del Telegiornale, Enzo Biagi, lo ha inviato a Mosca, quale corrispondente televisivo nella capitale sovietica. Nel 1966 ha lasciato Mosca per assumere l'incarico di corrispondente da Parigi. Dopo il maggio 1968 è rientrato a Roma come conduttore e inviato speciale del Telegiornale.
Ha realizzato inchieste e documentari in Europa, Asia, Africa. E' stato direttore della sede RAI di Firenze negli anni 70-80. Dopo l'esperienza moscovita ha lasciato la fotografia per sperimentare la pittura e l'incisione. Ha ripreso a fotografare a metà degli anni Novanta per una rivisitazione dei luoghi pasoliniani. Dal 2007 sperimenta le possibilità della tecnica digitale.
Numerose sono state le sue mostre personali e le sue immagini sono state ospitate in gallerie private, musei, Istituzioni pubbliche. Molte infine sono le pubblicazioni dedicate alla sua opera fotografica. Sulla sua maturazione formale in fotografia, dopo l'iniziazione di Bresson, l'input più consistente lo aveva ricevuto dai fotografi di "Life", le cui immagini ama ricordare ebbe la fortuna di trovare in un inserto all'interno di una raccolta di scrittori americani distribuita da un'agenzia di promozione letteraria postbellica. Si tratta di Walker Evans, la Bourke-White, Paul Strand, il pittore-fotografo Ben Shan.
Più tardi la sua attenzione si è rivolta alla fotografia di Robert Frank e ancora i francesi, Brassaï e Izis Bidermanas. Ha fatto parte del Gruppo fotografico Misa di Giuseppe Cavalli. In un'intervista ha raccontato quanto questa esperienza sia stata importante per lui che aveva avuto l'opportunità di conoscere gli esponenti della Bussola, il più noto e qualificato gruppo fotografico italiano.
Ha ricordato che insieme a Cavalli c'erano Veronesi, uno dei maggiori astrattisti europei, Vender, Finazzi, lo scrittore ed esploratore Fosco Maraini, Ferruccio Ferroni, e altri ancora. A Senigallia poi Branzi ha spesso ricordato di aver avuto soprattutto la fortuna di incontrare Mario Giacomelli. Avevano più o meno la stessa età e con lui Branzi aveva costituito un sodalizio artistico.
"Tutti e due" ha ricordato Branzi "eravamo impegnati, in quel momento, a scandagliare le possibilità d'impianto espressionista: toni definitivamente neri e bianchi bucati, mangiati nella ripresa e nella stampa. In accordo definimmo questo "segno" l'identificazione stessa del fare fotografia, e su questo richiamo alla grafica stabilimmo un rapporto di intesa che contribuì ad avvicinarci anche sul piano dell'amicizia, un'amicizia protrattasi intatta per mezzo secolo.
Questo nostro modo di fare fotografia ci portò ben lontano dalla linea estetica di Cavalli e della Bussola, e dalle loro raffinate immagini che tendevano a rincorrere la leggerezza di segno della matita, le modulazioni di grigio dell'incisione all'acquatinta, uno stile che non aveva saputo registrare i cambiamenti determinati nella società dai traumi dell'ancora recente conflitto". Così quando furono cooptati, assieme ad Alfredo Camisa, nel Gruppo emerse subito, chiaramente, per tutti e tre, l'impossibile convivenza con i dettati di un'estetica datata, perchè delineata ben prima della guerra.

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